Chi ha mai fatto un Opening Party?
Martedì 29/10/2013 – Dublino
Voglio iniziare il racconto del terzo giorno con un pensiero che più volte mi ha coccolato nei miei viaggi ma che non hai avuto una trasposizione scritta. Il mio pensiero va al cesso, ai cessi. Strumenti simpatici con cui, i più fortunati di noi, iniziano la giornata. Un tempio dove potersi rigenerare espellendo negatività, ricercando l’equilibrio. Solitamente il cesso è un po’ come la pasta, no? Quello di casa non lo batte nessuno e ci settimane, forse mesi, prima di dare la stessa confidenza al cesso dell’ufficio, del compagno/a, di amici e parenti. Quando si viaggia io sono solito individuare il mio “cesso in affitto”. Significa che il rapporto tra me e quel cesso particolare (sia di un hotel, di un campeggio, di un ostello o chissà cosa’altro) deve crescere velocemente fino a diventare quasi amore.
- > La gelosia è la prima cosa che colpisce, vedere il tuo cesso occupato è un colpo al cuore. Sappiamo benissimo che il nostro cesso non è fedele alle nostre natiche, il cesso di natura è un provolone, esperto baccagliatore di chiappe si concede un po’ a tutti, promettendo amore ed equilibrio interiore. In questi casi, occhio non vede, cuore non duole.
- > L’intimità è lo stato successivo. Quando siamo finalmente con il nostro cesso, pronti ad intensi minuti di effusioni orgasmiche, pretendiamo che nessuno ci disturbi.
- > Dopo la passione subentra la routine. Passiamo dalla zona dei cessi e gli lanciamo un’occhiatina. Ci accertiamo che sia vuoto, che non ci sia nessuno e ci compiaciamo dell’incontro serale, arrivando a fissare orario e convenevoli come nelle migliori agendine dei manager.
- > Infine c’è l’abbandono. Ecco, l’abbandono non è traumatico… Fatto un cesso, se ne fa un altro.
Mi sono deliberatamente dilungato su questo aneddoto perché non ho niente da raccontare fino alle 17.00, non perché sia mia intenzione censurare quanto avvenuto ma per il semplice fatto che lo posso riassumere in un paio di parole: letto, sbadigli, lavoro, e-mail, sbadigli, letto, e-mail, navigazione generica sul web (97% del tempo impiegato e nessuno sa ancora dove, nemmeno la cronologia). Usciamo dall’Avalon Hostel ed è già paurosamente buio. L’impressione di Marco, sul fatto che Dublino sia una città buia e oscura, si fa sempre più forte e indelebile, inizio ad essere d’accordo con lui, Dublino d’estate è un’altra cosa, eppure ho come la sensazione che la vera Dublino sia proprio quella della collezione Autunno-Inverno. Decidiamo di attraversare a piedi metà Dublino facendoci circa 5 km un po’ a casaccio per raggiungere la sede del Web Summit (RDS, vai alla mappa). Difficilmente, mentre si viaggia, si trova una piacevolezza migliore dell’attraversare una città a piedi. Ci si entra un po’ in intimità, ci si sofferma sulle piccole cose, si notano situazioni che non si sarebbero notate e se ne perdono altre che ci avrebbero consigliato tutti.
Grafton Street è sempre piacevole da vedere, forse la si preferisce intravedere dato che una volta dentro si viene aggrediti da moltissimi negozi di dubbio gusto, marketing globale che violenta uno spettacolo locale (Act Globally Rape Locally), fatto sta che decidiamo di fermarci a mangiare ad un Burger’s King per andare sul sicuro e per limitare tempo e spesa. Una volta imbottiti ci dirigiamo verso sud per raggiungere l’RDS senza risparmiarci un paio di vialetti lungo i bui canali, resi vivi soltanto dalle frizzanti luci delle biciclette, effimere e avvolgenti. Ho la sensazione di venire investito da un momento all’altro, le sento ronzare come zanzare, le sento ma non le vedo, vedo le lucine e nulla più. Forse dal Burger’s King sarà meglio non tornarci per un po’ (Avvelenamento da paninaccio?).
Dopo qualche chilometro intravediamo la sede del Summit, ci sono un sacco di persone che, come formichine, gironzolano intorno un capannone, tutti con le 24 ore, appena arrivati dall’aeroporto. Non come noi che bivacchiamo come porci da 2 giorni nell’ammaliante Dublino Halloweeniana (perdonatemi il termine). Io e Marco ci incanaliamo verso i rispettivi desk divisi per lettera del cognome, e otteniamo braccialetto e badge, ci sentiamo dei fighi, facenti parte di una comunità invidiata, aggiornata, stereotipata e inventata… La sensazione dura appena 5 minuti, giusto il tempo per tornare verso l’ostello, a piedi ovviamente, e cercare di fare il prima possibile per non perdere l‘Opening Party del Night Summit che, fortuna vuole, si svolge esattamente a 5 minuti dal nostro Avalon.
Personalmente non posso certo definirmi un signore impeccabile, come invece è Marco, eppure ammetto di vergognarmi leggermente nell’asserire che il 98% dei 500 invitati all’Opening Party in Fade Steet (ci siamo rientrati per poco) sono uomini. Il restante 2% risulta difficile da collocare in una qualsivoglia enciclopedia di zoologia. Prima di arrivare a futili conclusioni vorrei far chiarezza su una cosa, a nessuno di noi, specialmente a Marco che ripeto essere un gran signore distinto e cavaliere di antichi valori, è mai passato per la testa di venire a broccolare al Web Summit di Dublino e se anche lo avessimo pensato evidentemente non eravamo mai stati ad un evento del genere. Quindi mi sento di dirlo come monito, un gran consiglio… Se siete uomini e vi piace fare i provoloni, fatevi una fiera del turismo, se siete donne e non avete paura di essere l’unica attrice protagonista di un’ammucchiata di Nerd quasi ubriachi, fatevi sotto. Detto questo, anche senza avere mire di conquista, è piacevole avere una compagnia equamente divisa per sesso, le famose quote rosa sono una necessità estetica, politica e sociale. Ecco.
Paddino (Paddy Cosgrave, il fondatore del Web Summit che tra l’altro ha la mia età, 29 anni) ha pensato bene di “affittare” un’intera via e di chiudere i 4 locali al pubblico, i contro li abbiamo analizzati, i pro invece si paventano in birra gratis, entrata gratis e una miriade di gente pronta a conversare avidamente utilizzando la frase chiave “Hey Guy, tell me about your story“. Marco si invaghisce professionalmente di un Pakistano col turbante a cui chiede, convinto, se si trattasse di un programmatore (poiché secondo lui tutte le persone che si stirano la schiena in pubblico lo sono). Lui risponde di no, anzi, risponde che ha un dolore alla schiena e la conversazione termina lì, senza troppe emozioni, senza troppo imbarazzo. C’è giusto il tempo, da parte di Marco, di intuire il lavoro del tizio che sembra aver a che fare con le scimmie : “mi ha detto monkey, forse seamonkey” disse Marco. Incontriamo altri tizi generici tra cui londinesi, dusseldorfiani, californiani, indiani… Evitiamo come la peste gli italiani e non chiedeteci il perché. La serata scivola via tra chiacchiere e birra, tutti quanti a rimarcare l’assenza del gentil sesso, qualche programmatore, evidentemente impazzito, lo abbiamo visto ballare sulle note di dirty dancing, in molti però, erano palesemente intenti a fare PR (public relationship). Sembravano conoscersi tutti quanti da una vita… Io e Marco abbiamo dunque capito di essere timidi, meglio tardi che mai.
I locali sono molto carini, lo stile è un misto tra il radical chic e il nouvelle product designer, si respira creatività grunge e sciccheria da hipster, ecco non sapevo come raccontarveli, purtroppo i nomi dei locali non me li ritrovo ma se andate in Fade Street non potete sbagliarvi, ci sono altro che quelli.
Tra una birra e l’altra pensiamo al nostro piano d’evasione che ha compimento verso mezzanotte, il risultato è un paninaro di una deserta Temple Bar. Incassiamo il colpo, capiamo che i party tra nerd non sono niente di più di un party pieno di nerd e ce ne torniamo a casa, con il panino del paninaro della desolata Temple Bar che ci dilania le interiora.
Hasta la Proxima (Finalmente parte il Web Summit)
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